Premessa: viviamo in tempi difficili, soprattutto per il mondo editoriale. Come dice sempre un mio amico, saranno pure tempi difficili, ma sono tempi dannatamente interessanti. E difatti, vedendo le strutture dell’editoria, della critica e del giornalismo tradizionali tremare e sgretolarsi, vedendo sotto i nostri piedi aprirsi inedite crepe, profondi abissi, oltre che spaventarci per un futuro che si prospetta come un bagno di sangue (speriamo solo metaforico), dobbiamo soprattutto essere curiosi.
Attraverseremo una tempesta di dimensioni incredibili, è possibile, ma abbiamo gli strumenti – o almeno, qualcuno di noi ce li ha – per rialzarci quando l’occhio del ciclone passerà lasciando morte e distruzione, e per continuare a camminare.
2. Credo che sia giunto il momento di smettere di parlare di blogger, a meno che non vogliamo continuare a pensare che il contenitore sia ancora più importante del contenuto. Io credo – e spero di non prendere un abbaglio – che i nuovi strumenti di rete che abbiamo a disposizione abbiano trasformato il ruolo dei produttori di contenuti editoriali, dei giornalisti, diciamo, per semplificare. Ora ho l’impressione infatti, che la forza della mia opinione non dipenda più, o meglio, sempre meno, da che testata mi pubblica.
Potenzialmente (ma soprattutto, in prospettiva) se questo articolo lo pubblicassi su La lettura del Corsera o sul blog di kLit, a cambiare sarebbero soltanto i soldi che mi verrebbero in tasca. Diciamo – stimo – un centinaio di euro da RCS nel primo caso, e diciamo – questo è un dato certo – una pacca sulla spalla dallo staff organizzativo nel secondo. A livello di opinione e di autorevolezza, a quel livello che non si gioca sui conti bancari ma nella testa di chi legge, paradossalmente la cosa non ha più così tanta importanza. Adesso, nell’ottobre del 2012, grazie ai nostri profili su Twitter, su Facebook e su qualsiasi social network o social media, i contenuti che scriviamo raggiungono un certo numero (in costante crescita) di lettori interessati e che nutrono fiducia nei nostri confronti indipendentemente da dove noi pubblichiamo il nostro pezzo. Questi lettori ci leggono con attenzione, con molta più attenzione di quelli i cui occhi sorvolano le pagine di carta della Lettura del Corsera, forse. E quando, al massimo tra un anno o due, credo, il Corsera lo pubblicheranno solo su tablet e i giornalisti non li pagheranno più 100 euro a pezzo, cosa sancirà il dislivello di autorevolezza che prima era sancito agli occhi dei lettori dalla differenza abissale tra la carta ruvida di un quotidiano e lo schermo freddo di un monitor?
3. Un passo indietro, avendo messo a confronto i 100 euro lordi di RCS con la pacca sulla spalla di kLit, mi viene infatti in mente che la vera differenza e il vero campo di battaglia su cui si gioca la sopravvivenza di noi critici e giornalisti freelance che lavorano su web è proprio quello dei finanziamenti e dei pagamenti. A meno che tra un paio d’anni il pane al mercato e la birra al Birrificio me li diano in cambio di una nuova moneta chiamata Gloria.
A parte gli scherzi, il futuro di noi che ci sfoghiamo su queste pagine e che cerchiamo di capire quale sarà la strada che dobbiamo prendere deriverà dalla piega che prenderà la questione dei finanziamenti nel mondo editoriale.
Se il mondo della produzione e della diffusione dei contenuti editoriali troverà una chiave per svoltare e capirà come riattivare il processo di finanziamento pubblicitario, magari abbandonando l’idea dei contributi statali e utilizzando diverse modalità di finanziamento: facendo vivere in contemporanea main sponsor, branded content, crowdfounding, pubblicità super mirata grazie ai nuovi device. Parentesi: pensate che chi compra un quotidiano in edicola è fondamentalmente una stilizzazione statistica di un lettore medio, ma chi legge su tablet è un mister Nome e Cognome, di cui si possono sapere non solo i gusti, ma anche il Dove e Quando si trova, orientando non solo i contenuti, anche la pubblicità. E provate ad andare a vendere uno spazio del genere a un inserzionista (che non sarà più uno spazio, sarà qualcosa d’altro), secondo me vi pagherà molto, molto di più.
In ogni caso, se questo mondo capirà che la strada è quella di puntare sulla qualità, sull’insider journalism, sulla passione di chi scrive, sulle nuove leve del giornalismo (culturale e non solo) che costano meno e che offrono contenuti davvero nuovi, allora svolteremo anche noi. In quel caso qualcuno emergerà, probabilmente i più bravi a scapito dei più scaltri, perché a quel punto la qualità e la passione saranno le prime armi di un buon professionista.
Se invece questa chiave il mondo editoriale non la troverà, se non riuscirà a reinventarsi e capire questa riformulazione del campo di gioco e di alcune delle regole che lo tenevano in piedi fino a oggi, allora la critica letteraria, come il giornalismo di ogni tipo, continuerà ad annaspare, come oggi. Continueranno le stesse dinamiche che fanno tremare i polsi ai direttori in queste settimane, i lettori continueranno nel percorso che dal disinteressarsi porta allo schifare, la pubblicità non pagherà abbastanza, e ad emergere saranno solo quelli che si lanceranno dal brigantino in fiamme, che avranno la prontezza e la forza di raggiungere a nuoto la prima isola di contrabbandieri e, giunti lì, si metteranno a fare un altro lavoro.
testo di Andrea Coccia
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