Il Festival dei Blog Letterari

7/8 Luglio 2012 - Thiene (VI)

Il presente ed il futuro dei blog letterari secondo Giovanni Turi

Mercoledì 12 Dicembre 2012 - 15:02

 

In un articolo del 1973 sul «Tempo», Pasolini denunciava: «Le terze pagine di tutti i giornali sono il trionfo del qualunquismo: i libri di cui si parla sono scelti casualmente». Oggi va anche peggio, perché a imporre determinati testi all’attenzione di un critico sono gli editori, che spesso indicano anche i termini in cui se ne deve parlare. Perché nessuno si oppone a questa pratica? Semplice: per collaborare con un grande quotidiano devi essere parte dell’élite culturale ed editoriale, se pesti i piedi a qualcuno non verrai più invitato al prossimo gala. E magari l’editore che non hai incensato potrebbe anche rinunciare ad acquistare il prossimo spazio pubblicitario in prima pagina. No, non si può.
 
I blogger, invece, leggono e scrivono per pura passione (alcuni, ahinoi, anche per frustrazione – ma è facile distinguerli), nulla devono e nulla chiedono a editori e scrittori e non sempre sono meno preparati degli accademici. Certo, spesso si tratta di persone senza alcun sostrato teorico, con strumenti linguistici approssimativi e che valutano le opere in maniera fin troppo empatica e superficiale, ma vi sono lettori che chiedono proprio quel genere di recensione, tutti gli altri non sono tenuti a seguirle, e poi anche sulla carta stampata non si può certo dire che manchino critici umorali (come D’Orrico, giusto per fare un esempio).
Oltretutto, se gli articoli apparsi su una testata cartacea vivono l’effimera vita destinata a quest’ultima, online i testi rimangono a formare un archivio sempre e ovunque fruibile. Non solo. Chiunque può commentare e/o contestare quanto è scritto, annullando la distanza aristocratica che i lettori comuni avvertivano ancora un decennio fa nei confronti della critica e innescando talvolta dibattiti interessanti, ribaltando il ruolo del fruitore, o persino invertendo critico e scrittore – altro discorso è quello per cui talvolta il confronto degenera in scontro, basta però non replicare ulteriormente a chi pretende di imporre un proprio punto di vista.
C’è poi chi si scaglia contro il proliferare di siti letterari, come se la pluralità fosse un limite e senza tener conto che alla prova del tempo sopravvivono solo coloro che sono in grado di fornire un’informazione costante e approfondita (non è un caso che Nazione Indiana, tanto per fare il nome di un Lit-blog con la maiuscola, si approssimi al decimo compleanno). È, infatti, il numero di visite a decretare la sopravvivenza e talvolta il successo di un luogo di incontro virtuale, e queste dipendono solo dall’attenzione e dalla volontà della democratica comunità dei lettori.
Bene, allora non ci sono inghippi? Tutto procede nel migliore dei modi? Direi proprio di no.
1. È necessario essere sempre e ovunque presenti per dare continuità e visibilità al proprio agorà online, e questo riduce inevitabilmente il tempo che si può dedicare allo studio e alla lettura (nonché alla vita e ai fatti propri).
2. Spesso anche i blogger finiscono nella rete (più o meno virtuale) delle conoscenze e dei favori reciproci, replicando quel sistema che ingloba e neutralizza i dissidenti nella società intellettuale con effetti grotteschi – come in Senza scrittori, il docufilm in cui Cortellessa denuncia quei meccanismi editoriali di cui egli stesso è vittima.
3. Il fascino e l’attrazione che gli inserti culturali e i periodici tradizionali hanno su chiunque scriva sui libri è innegabile, così come la percezione comune di una loro maggiore autorevolezza.
4. Il paradosso per cui pochissimi in Italia conoscevano Mo Yan, ma tutti sui social network ne hanno commentato la vittoria del Nobel, viene assunto a sistema. Ossia, la possibilità per chiunque di scrivere si traduce in compulsivo desiderio di esprimersi, anche quando sarebbe meglio tacere.
No, non ho la soluzione, né intendo provare ad abbozzarne una – anche perché ho fretta di tornare semplicemente a leggere.
 
Testo di Giovanni Turi
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Commenti

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